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Dalla Storia

 

   

Palazzo Malacrida sorge in "Scima ai cà", antico borgo morbegnese che si sviluppa tutto in verticale e a ridosso della montagna. Una posizione strategica poichè alle spalle dell'edificio sale la strada che in passato conduceva al Passo San Marco, punto nevralgico per gli scambi commerciali in tutto il Settecento. Da qui infatti si raggiungevano le vie e i traffici della Serenissima e di Venezia. Ai piedi del promontorio inoltre si incrociava la via che portava al Lago di Como, lo costeggiava lungo la sponda occidentale, e conduceva a Como e di lì a Milano.
Dal palazzo è possibile abbracciare con lo sguardo la Morbegno più recente, quella che a partire dall'Ottocento si è sviluppata intorno alla stazione e alla linea ferroviaria. Prima dell'avvento della ferrovia però la cittadina presentava un volto totalmente differente: quattro erano i centri principali e tutti molto distanti tra loro. Oltre al borgo di "Scima ai cà", i cui confini sono il ponte di San Rocco sul fiume Bitto, Piazza San Giovanni e le case attorno alla chiesa di San Pietro, vi era la contrada Bottà a nord, il convento di Sant'Antonio ad est e molto più distante il santuario dell'Assunta.
Questa illustre dimora viene costruita all'inizio del Settecento e, nonostante sorga in un piccolo centro della Valtellina, è del tutto attuale e al passo con il gusto che in questo periodo domina in tutta Europa. La famiglia Malacrida ha un'antica tradizione e, grazie al diario lasciato dall'ultimo nobile della famiglia, Ascanio II (1751-1820), è ancora oggi possibile ricostruire le vicende principali di questa casata. Già nel XIII sec. si trovano a Dongo (lungo la sponda occidentale del Lago di Como) numerosi possedimenti appartenenti a questa famiglia, la quale, grazie al sostegno degli Sforza e dei Visconti, consolida la propria posizione durante il XIV sec. riuscendo a diffondere il proprio prestigio fino ai centri di colico e di Corenno Plinio. A metà del secolo, dopo essere divenuti signori di Poschiavo e di Traona, acquistano diverse proprietà in Valtellina. Caspano, piccolo paese sulla costiera retica, diventa sede della loro stabile dimora. Da qui si spostano soltanto verso la fine del XVII sec. per stabilirsi definitivamente a Morbegno secondo il volere di Bartolomeo Malacrida. Quest'ultimo acquista infatti caseggiati e terreni nella contrada di "Scima ai cà", e il figlio, Ascanio I, fa costruire un primo scheletro del palazzo. Dalla casata dei Malacrida sono discesi illustri personaggi, tra cui numerosi notai, una suora agostiniana, Beata Elena Malacrida, e addirittura un gesuita, Gabriele Malacrida, il quale prestava servizio in Portogallo come confessore del re. Viene tuttavia coinvolto in una non chiara vicenda e, sospettato di eresia e alto tradimento, viene condannato al rogo nel 1761.
Tornando alla storia dell'edificio, il figlio di Ascanio I, Gian Pietro Malacrida, decide di far abbattere il primo scheletro del palazzo al fine di erigerne un altro che esprimesse la potenza e il prestigio del casato. I lavori vengono affidati all'Architetto Pietro Solari da Bolvedro e vengono terminati intorno al 1762.
All'esterno il palazzo si presenta semplice e sobrio, tanto è vero che passando distrattamente per le vie del borgo, non si attribuirebbe all'edificio l'importanza di cui di fatto gode. Le abitazioni vicine sorgono a pochi metri di distanza, quasi a volerlo soffocare, e il fronte non si affaccia su alcuna piazza. Quest'ultimo è di colore grigio chiaro, ma guardando verso l'alto, tra il primo e il secondo piano, si vedono ancora tracce del bianco originale, il quale creava un felice contrasto con il verde scuro dei cornicioni delle finestre in stucco. Nonostante la complessiva semplicità, la facciata è impreziosita dalle aperture tonde del sottotetto, che la alleggeriscono interrompendo la rigida serie di finestre degli altri piani, dal bellissimo balconcino con poggiolo in ferro battuto da artigiani della zona (se ne ammirano di simili in via Garibaldi), dalle conchiglie che decorano le cornici delle finestre e che anticipano i motivi ornamentali degli interni.
Un bel portale dal portone nero borchiato immette nell'ampio atrio, su cui si aprono sette porte, due delle quali sono finte. Sopra la cornice di ogni porta troviamo dipinti gli stemmi delle nobili dame che sono entrate a far parte della famiglia. Nella porta al centro della parete dirimpetto l'entrata ammiriamo lo stemma della famiglia Malacrida affiancato a destra da quello della famiglia Mariani e a sinistra da quello dei Paolucci. Lungo la parete di destra troviamo gli stemmi dei Peregalli di Delebio e dei Malaguccini di Morbegno, lungo la sinistra riconosciamo il cigno dei Parravicini, lo stemma dei Vicedomeni e l'ippogrifo dei Greco di Mello. Anche l'atrio, che nel suo complesso si presenta piuttosto austero, viene ingentilito da due raffinate colonne in granito decorate con elementi floreali. Le volte in stucco creano un felice contrasto con il celeste e il rosa pallido del soffitto, tinte quasi evanescenti tipiche dello stile barocco. Le porte conducono alle cantine e ai piani superiori, mentre la prima a destra in una semplice sala quadrangolare la cui volta è stata dipinta dal pittore morbegnese Giovan Pietro Romegialli. L'affresco ("Aurora") riproduce nella parte superiore Aurora con abiti dorati e sorretta da una nuvola sotto la quale vi sono quattro allegri putti con ghirlande di fiori. La fanciulla è colta nell'atto di allontanare le tenebre rappresentate dal cielo scuro nella parte inferiore del dipinto. Da notare è il contrasto tra i colori molto forti e scuri della parte inferiore e quelli più chiari di quella superiore, contrasto che caratterizzerà quasi tutti gli affreschi del palazzo.
Nell'atrio, a sinistra, troviamo lo scalone d'onore che conduce al piano nobile. La balaustra è in pietra color avorio, laccata e ricoperta di lamine d'oro. Alla fine della prima rampa troviamo la statua di Bacco in metallo ricoperto di stucco. Essa risale all'Ottocento e quindi viene aggiunta successivamente all'arredo originario. Il soffitto mostra un affresco di Giovan Pietro Romegialli intitolato il "Ratto di Ganimede" (1762). Il motivo è mitologico e le tre figure principali sono disposte a triangolo: nel vertice inferiore ammiriamo Ganimede, giovane e affascinante pastorello, che viene rapito da un'aquila inviata da Giove, raffigurato in alto a sinistra seduto su una nuvola. La terza figura a destra è Giunone, moglie di Giove, che piange anch'ella seduta su una nuvola (da notare il contrasto di tinte chiare e scure). Salito lo scalone raggiungiamo l'ampio salone d'onore progettato da Pietro Solari (vedi foto in alto). La sua pianta è rettangolare e il pavimento, originale, è rivestito in cotto. La sala si sviluppa su due piani come dimostrano i balconcini in pietra dipinta a marmi policromi. Da notare le bellissime tendine in stucco che da lontano sembrano in tessuto. La sala è un trionfo dello stile barocco ed è stata dipinta nel 1761 da Giuseppe Coduri detto il Vignoli (quadraturista) e da Cesare Ligari. Le finte architetture l'una dirimpetto all'altra donano maggior respiro all'ambiente e lasciano intravvedere terrazzi e loggiati da cui si ammirano paesaggi lacustri. Predominano le tinte tenui, i motivi floreali, i frutti e le conchiglie. Sulla parete di fronte alle finestre sono da notare il gatto dietro i vetri dipinti e la finestra lasciata socchiusa: tutto contribuisce a creare un'atmosfera semplice e famigliare pur nella ricercatezza e accuratezza dei particolari. Di gusto raffinato sono le cornici dorate che facevano da base per i candelabri: ciascuna reca strutture architettoniche classicheggianti e paesaggi naturali. L'affresco del soffitto è di Cesare Ligari e rappresenta il tema illuminista de "Il trionfo della ragione sopra l'ignoranza tramite le arti e le scienze". Riconosciamo la Ragione in alto attorniata da personificazioni delle varie discipline: la Pittura (colta nell'atto di riprodurre l'arma dei Malacrida), l'Architettura, la Musica, l'Astronomia, la Geometria e la Geografia. In posizione opposta alla Ragione osserviamo l'Ignoranza che "si precipita non potendo stare in quel dotto consorzio". L'affresco dimostra la vicinanza del Ligari alla scuola veneziana ed in particolare al Tiepolo: la predominanza del colore sul disegno, la luce fresca e brillante. Architettura e pittura, armoniosamente insieme, riescono a dare vita ad uno spazio illusorio di scintillante luminosità e consentono al visitatore di dare libero corso alla propria fantasia. In questo salone vengono oggi celebrati i matrimoni civili.
Da qui si accede (porta lungo la parete di sinistra) alla galleria, una piccola stanza in cui un tempo veniva conservata la collezione di quadri appartenenti alla famiglia. Queste opere, circa una cinquantina, sono state tutte vendute e alcune addirittura rubate, e oggi nella sala è possibile ammirare unicamente la quadratura di Giuseppe Porro di Milano nel plafone e dei paesaggi dipinti sugli scuri e nei sottodavanzali. E' interessante notare la grossa differenza fra lo stile del Vignoli, caratterizzato da colori chiari ed elementi leggeri, quasi accennati, e quello del Porro, il quale utilizza tinte più scure e cupe.
Un'altra porta (di fronte a quella d'accesso) immette in una sala più piccola ma comunque sempre molto accogliente, caratterizzata da ricche tappezzerie rosso ed oro, da un caminetto neoclassico e da un quadretto fiammingo raffigurante un concerto di musici. Il soffitto presenta un medaglione di Cesare Ligari intitolato "Le tre grazie". Le tre fanciulle (i visi sono quelli già incontrati negli affreschi precedenti: nel Settecento le modelle scarseggiavano, soprattutto quelle disposte a lasciarsi ritrarre non del tutto coperte, soprattutto in Valtellina) sono di nuovo disposte a triangolo (la difficoltà di dipingere sul soffitto obbligava l'artista a cercare dei punti di riferimento ben precisi) e comodamente adagiate su nuvole spumose. Bellissimi sono i volti dei bambini che soffiano simboleggiando il vento. La sontuosa cornice è sempre del Vignoli.
Seguono due piccole stanze, l'anticamera dell'alcova e l'alcova vera e propria, entrambe interamente decorate dal Vignoli. Da notare sono alcuni piccoli ovali in monocromo rosati, un mobile a muro, la testiera del letto dipinta sulla parete e i mensoloni sporgenti, anch'essi dipinti, sul soffitto. Dall'anticamera si accede all'ampio terrazzo con belle balaustre in marmo di Viggiù.
Dal salone d'onore, tramite un'altra porta, si accede alla sala dell'eroe coronato, così chiamata per l'affresco del soffitto intitolato "Il Merito incoronato dalla Fama" presumibilmente di Pietro Ligari. Vi invitiamo a scoprire il curioso particolare di questo affresco (osservate la gamba del Merito e camminate attorno alla stanza). La volta presenta anche raffinati stucchi istoriati sacri e profani. La sala vanta inoltre il più bel camino del palazzo, e il paracamino, dipinto in occasione delle nozze di Ascanio con Eugenia Malaguccini (1780), raffigura Imeneo e Cupido che tengono incatenati tramite catene d'oro e d'argento gli stemmi delle due nobili famiglie. Sopra le porte osserviamo cinque ritratti di importanti poeti: Chiabrera, Metastasio, Goldoni, Tasso e Petrarca, tutti del Romegialli. Questa stanza veniva infatti utilizzata come libreria e sala di lettura. Nel piano nobile troviamo altre quattro piccole sale: la sala azzurra, dal pavimento in granaglie, l'anticamera delle quattro stagioni, riccamente decorata dal Vignoli (coralli, conchiglie, collane di perle e fiori), la Cappella, dedicata a San Gaetano da Thiene, ed infine la sala dei capricci architettonici, così chiamata per le raffigurazioni dei medaglioni sul soffitto.
Al secodo piano vi sono gli appartamenti dove vivevano abitualmente i membri della famiglia.
Il complesso è dotato anche di un bel giardino all'italiana, al quale si accede dal secondo piano tramite un ponticello che si affaccia sulla "corte de polli". Esso presenta piante e fiori originali, la stessa vegetazione all'ombra della quale la famiglia trascorreva il tempo leggendo (da notare il ritratto di Dante Alighieri sopra al portoncino che immette in via San Marco), riposando o ammirando lo splendido panorama che da qui si gode. Il giardino si sviluppa su tre terrazzamenti, e nel punto più alto troviamo l'eremo.
Vi invitiamo a visitare le pagine del sito dedicate alla cittadina di Morbegno in cui troverete consigli per nuove visite culturali ma anche informazioni sulla gastronomia locale, sui prodotti tipici e sulle manifestazioni della zona.