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Barche da pesca
Senza dubbio, le barche a remi utilizzate per la pesca hanno avuto un
ruolo fondamentale nell’evoluzione della nautica lariana. L’imbarcazione
a remi, infatti, è da ritenersi il mezzo ottimale per questo tipo di
attività per tutta una serie di caratteristiche legate alle tecniche
utilizzate nella pesca lacuale.Due erano i sistemi più diffusi sui quali
si basava l’attività della pesca con ausilio di imbarcazioni: una
effettuata con reti a strascico (oggi vietata) e una che prevedeva
l’utilizzo di reti fisse. La rete da pesca a strascico era utilizzata col
navèt, barca studiata ed evolutasi a questo scopo. Il tipo di pesca (con
rete a strascico) più diffuso era quella mediante linàa, cioè di una rete
parzialmente costituita da lino. Il pescatore fissava uno dei cavi (sug)
alla riva, solitamente utilizzando un palo piantato nella ghiaia, e si
addentrava nel lago a bordo del navèt eseguendo un percorso di tipo
circolare, sfruttando l’intera lunghezza della rete. La parte inferiore
della rete veniva lentamente fatta affondare, mentre la parte superiore
era sostenuta da galleggianti. La barca, approdando nello stesso punto di
partenza, chiudeva il cerchio. A questo punto l’imbarcazione veniva
ancorata a terra con la prua diretta verso il lago. Da bordo, i pescatori
iniziavano il recupero della rete a forza di braccia. Man mano che
avveniva il recupero, il pesce era spinto verso il fondo della rete
stessa che terminava con un apposito sacco. I galleggianti utilizzati
(manteghètt), erano realizzati originariamente in pelle (di capretto o di
cane) cucita e poi gonfiata. Per lo stesso scopo venivano anche
utilizzate zucche vuote. Per una buona riuscita, questo tipo di pesca
implicava una perfetta conoscenza del fondale che doveva risultare libero
da possibili ostacoli quali grossi massi, tronchi o relitti, che
avrebbero potuto strappare la rete. L’esigenza di battere vaste zone del
lago (sempre alla ricerca di fondali adeguati e di banchi di pesce
“ròsc”) imponeva ai pescatori di assentarsi dalle loro dimore anche per
diversi giorni. In questi casi, l’imbarcazione diventava anche riparo per
la notte. I pescatori dormivano su paiòn, materassi fatti di foglie di
pannocchia, e potevano nello stesso tempo riposare e stare di guardia
alle reti ed al pescato. Questo tipo di necessità ha determinato nel
tempo la più evidente caratteristica delle barche lariane, cioè i cerchi,
utilizzati per ripararsi dal freddo e dalle intemperie, oltre che per
stendervi le reti ad asciugare.Per quanto riguarda, invece, la pesca
tramite reti fisse, il metodo più diffuso avveniva tramite reti chiamate
pendént, la barca utilizzata era prevalentemente il batèll. Nelle notti
estive, i pendént vagavano sulla superficie scura del lago, nel quale
erano stati gettati all’imbrunire, per poi essere recuperati nelle prime
ore dopo la mezzanotte. Le reti erano trattenute da galleggianti e tenute
in tensione da pesi (piombi o grossi massi). Per segnalarne la posizione,
le reti venivano collegate ad assiciole incrociate sulle quali erano
posti un campanaccio, oppure un lume.Una osservazione fondamentale che
riguarda questo tipo di imbarcazioni, ed in generale tutte gli scafi
lariani, è quella di adeguarsi di volta in volta alle funzioni alle quali
erano destinate. Non erano, cioè, le attività a subire modifiche per
adeguarsi al tipo di imbarcazione e quindi alle sue caratteristiche, ma
le barche che, per assecondare le necessità dei singoli utilizzatori,
subivano modifiche formali e tecniche anche rilevanti.
E’ questo il motivo principale per cui esistevano sul Lario “tipi” di
imbarcazioni tradizionali con caratteristiche più o meno codificate, ma
molto maggiori erano le varianti o le eccezioni. Se pensiamo poi al fatto
che le imbarcazioni venivano realizzate “ad occhio”, allora possiamo
affermare che sul lago non vi erano due barche identiche.
Barca di Pescarenico
Sull’Adda,
presso Lecco, e sui laghetti di Garlate e di Pescate è ancora oggi in uso
una piccola imbarcazione a remi chiamata semplicemente “barca”. Costruita
principalmente a Pescarenico, in larice o castagno, serviva per il
piccolo trasporto e per la pesca alla lenza in acque tranquille. Le sue
dimensioni erano di 4.20 metri di lunghezza e di 1.40 di larghezza
(circa) e normalmente era colorata interamente di nero di pece, dato che
ogni anno questa barca aveva la necessità di essere calafatata.La poppa
arrotondata, la prua diritta e sottile, il tipo di ancoraggio, ma
soprattutto la tecnica costruttiva, ne fanno una barca tipicamente
lariana. La costruzione è piuttosto rozza e grossolana. Caratteristico di
questa barca era il remeggio: i remi erano molto più lunghi di quelli
normalmente impiegati sulle altre barche (in proporzione alle dimensioni
dello scafo), ed erano usati incrociati. Il rematore impugnava i remi
incrociati, con la mano destra il remo sinistro e viceversa, remando in
piedi rivolto in avanti. La barca era priva di panche interne ed era
quindi adibita solo al lavoro, alla pesca o per brevi spostamenti. Un
eventuale passeggero avrebbe dovuto, infatti, trovare posto seduto sul
fondo della barca. I remi più lunghi aumentavano la potenza della remata,
avendo le leve più lunghe tra gli scalmi e l’impugnatura del remo stesso,
e consentiva di vincere la forza della corrente del fiume. Nello stesso
tempo, il remo, lavorando maggiormente in verticale permetteva manovre
estremamente agili e quindi la barca godeva di una grande manovrabilità.
altra ragione della lunghezza dei remi è che questi potevano essere
utilizzati come puntàal sul fondo del fiume. Questo permetteva di
spingere in avanti la barca, o di mantenere una determinata posizione
utilizzando lo stesso metodo, quando la corrente del fiume era
particolarmente forte.
Cànot de pesca (barchet)
Personalmente,
ritengo questa barca (ai fini dell’evoluzione della barca lariana) di
fondamentale importanza. A torto, infatti, questa imbarcazione, è sempre
stata considerata e studiata di minore importanza rispetto alle più
nominate barche tradizionali, o ai modelli più eleganti derivanti dalla
tecnica a fasciame sovrapposto. Penso che questo sia dovuto dal fatto che
il canòt deriva, tecnicamente e formalmente, dall’inglesina e che sia
essa ad assumere, nei trattati tecnici o storici, grande importanza. La
linea del canòt era abbastanza filante e, rispetto all’inglesina, aveva
una prua più panciuta che consentiva il carico di una grande quantità di
pescato e delle reti. altra fondamentale differenza tecnica è che il
fondo era piatto e privo di chiglia, cioè simile alle imbarcazioni
tradizionali del Lario; questo consentiva all’imbarcazione spostamenti
laterali fondamentali nella posa delle reti, impensabili per altre
imbarcazioni realizzate con fasciame sovrapposto. Era una barca da
lavoro, e come tale aveva una struttura molto più resistente
dell’inglesina e della lancia ma finiture meno curate.Per le
caratteristiche descritte e per altre ancora, colloco questa barca quale
anello congiunturale tra le antiche barche tradizionali e le successive
derivate dalla tecnica a fasciame sovrapposto di origine inglese. Questa
imbarcazione, infatti, racchiudeva in sé le migliori caratteristiche
tecniche delle barche tradizionali, unite ad una “nuova” tecnica
costruttiva qual’era quella del fasciame sovrapposto, diventando una
perfetta “macchina da lavoro”. Non a caso, il canòt è tuttora una delle
barche a remi più diffuse sul lago e la più utilizzata dai pescatori
professionisti.Tra le caratteristiche riconducibili alle barche
tradizionali ricordiamo: le essenze utilizzate, larice e castagno, di
notevole spessore (tavole di tre centimetri per il fondo e uno per il
fasciame), fondo piatto, fissaggio del primo corso del fasciame
direttamente al fondo della barca tramite chiodatura. Furono realizzati
anche modelli con i tradizionali cerchi in legno e una sottile mantàula,
ma le differenti esigenze dei pescatori contemporanei (non c’è più la
necessità di lunghe permanenze al largo) fecero si che i cerchi non
fossero più necessari.Le caratteristiche di derivazione dal metodo
“all’inglese” erano, invece, essenzialmente quelle che riguardavano la
metodologia di costruzione in senso stretto.Questa barca rappresenta,
come descritto, la fusione di due tecniche costruttive. I mastri d’ascia
locali, acquisita la nuova tecnica, ne applicarono i principi di base in
funzione degli usi specifici a loro richiesti, pur conservando le
caratteristiche favorevoli del metodo costruttivo tradizionale. Perfetta
fusione di due tecniche, quindi, ma anche tra forma e funzione. A
coronamento di quanto detto, anche il metodo di voga risulta
interessante. La barca utilizzata dal singolo pescatore era infatti
spinta da un tipo di voga tipicamente lariano, cioè in piedi, col volto
verso prua e con remi a pala dritta. Quando vi era la necessità di
effettuare lunghi spostamenti e l’equipaggio era composto da due
pescatori, il secondo pescatore vogava seduto (dalla panca a prua) dando
le spalle alla prua della barca e utilizzando remi a pala curva, in un
tipo di voga di stile tipicamente inglese. Anche in questo caso, la
fusione delle due tecniche risulta particolarmente vantaggioso,
permettendo di raggiungere buone velocità o, comunque, di percorrere
lunghi tratti di lago senza affaticarsi.
Navèt o nàaf
Il navèt era una barca da pesca che, col tempo, assunse
una forma essenziale ed originalissima, perfettamente funzionale alle
tecniche in uso sul lago. Lo scafo, di forme piuttosto rotonde, misurava
circa sette metri di lunghezza e tre di larghezza, aveva un pescaggio
limitato a soli venti centimetri ed era in legno di castagno con albero e
remi in larice.
Contrariamente
a tutte le altre imbarcazioni lariane, lo scafo a fondo piatto, aveva la
prua più alta e più larga della poppa. Quando a prua si caricavano le
reti bagnate e il pescato (in totale potevano essere anche una ventina di
quintali) la barca assumeva un assetto pressoché orizzontale. Il
pagliolato era molto sollevato dal fondo per consentire all’acqua di
raccogliersi in sentina, lasciando un piano di lavoro asciutto per i
pescatori. Questa capace sentina (acquaröo) era utilizzata per lo
stivaggio temporaneo del pesce pescato, in attesa di essere selezionato
in ceste. Lo scafo era munito di tre cerchi uniti da un travetto
longitudinale chiamato mantàula. Questa struttura sosteneva una tenda che
copriva metà barca. La parte rimanente era solitamente coperta con la
vela anch’essa appoggiata sulla mantàula. L’albero, legato
longitudinalmente sopra i cerchi a fianco della mantàula, poteva essere
fatto scorrere in modo da prolungare il sostegno della vela-tenda anche
verso la porzione anteriore della barca. Quando l’albero veniva issato
era legato all’incrocio con il primo cerchio. La vela, rettangolare, era
cucita a strisce verticali. La suaaltezza e la sua larghezza erano di
dimensioni circa uguali a quelle dello scafo (come per il comballo e per
la gondola). Il navèt aveva due soli remi. Malgrado questo aveva quattro
scalmi, ed in alcuni casi addirittura sei. I primi due erano posti verso
prua, all’titleezza del primo cerchio, gli altri più arretrati. Quelli di
prua venivano utilizzati quando la barca era scarica, gli altri (verso
poppa) quando era carica oppure per particolari manovre. Gli scalmi erano
originariamente costituiti da due pioli in legno affiancati dentro i
quali si alloggiavano i remi, in seguito si utilizzò una tavola di legno
duro (radica di noce o castagno) intagliata con un incavo. Anche in
questo modo, però, gli scalmi non avevano lunga durata. Furono allora
introdotti dei semi-anelli in ferro per rinforzarli fino a tempi più
recenti quando si utilizzarono scalmiere in bronzo o in ferro.Unica forma
di governo dell’imbarcazione erano i remi, non vi era infatti timone e
non si utilizzavano cime quando si navigava a vela. I colori solitamente
utilizzati erano solitamente il grigio ed il nero, varianti erano
l’azzurro o il verde di tonalità scure.Il tipo di pesca praticato con
questa imbarcazione era di tipo a strascico. L’introduzione di norme che
impedivano questo tipo di pesca condannarono il navèt all’estinzione in
tempi brevissimi. Ad oggi sono rimasti rarissimi esemplari di questo tipo
di barca. Il navèt, meglio di altri, si presta a documentare come le
barche lariane sono sempre state nel tempo, legate a vicende e a
condizioni ambientali molto particolari.
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