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Problematiche

Cartografia

 

 

 

Rispettare la natura, la flora, gli alberi...
   

Quando si passeggia per una valle c'è sempre chi sofferma il proprio occhio sulle varietà di colori e sullo splendore cromatico dei fiori alpini. Questa flora, incomparabile ornamento di particolare bellezza e rarità, rinnova ogni anno la sua lotta contro il sole cocente, il freddo gelido ed inclemente, le intemperie e le bufere, le cadute di massi e l'inondazione delle acque: forse anche per questo colpisce nel profondo chi si sofferma a riflettere sulla tenacia di queste forme di vita. Si tratta anche delle innumerevoli piantine che dipingono i prati ed i pascoli dei nostri monti:sono loro che spuntano in fessure di rocce strapiombanti o fra i detriti dei ghiacciai. Anche qui, però, gli interventi dell'uomo hanno lasciato un triste segno, strappandole alla bellezza della montagna, senza capire che collezionare piante e raccogliere fiori significa intervenire in maniera distruttiva alla sopravvivenza di molte specie botaniche, impoverendo la natura e riducendo quel patrimonio essenziale per la nostra stessa sopravvivenza di cui oggi molti parlano, la biodiversità. Quasi a volersi difendere, alcuni fiori si sono ritirati in luoghi quasi inaccessibili, altri sono completamente spariti. Per questo molti cartelli ed avvisi cercano di richiamare l'attenzione sulle norme e le disposizioni che proteggono la flora alpina e che, pur variando da zona a zona, vanno osservate scrupolosamente. Rispettiamo la natura!

Proteggere la fauna Alpina

E' quasi impossibile alle soglie del 2000 andare alla ricerca di una montagna la cui natura non sia stata, talora anche sconsideratamente e selvaggiamente, titleerata dagli interventi dell'uomo, che ne hanno tristemente titleerato e anche sconvolto l'equilibrio biologico e quindi l'originario volto naturalistico. La fine dell'esistenza di un numero impressionante di specie in molti casi non ha niente a che fare con le teorie della legge della selezione naturale nella lotta per la sopravvivenza di Darwin, ma è piuttosto il frutto di unabattaglia condotta dall'uomo contro alcuni animali classificati pericolosi per il bestiame e a volte per l'uomo stesso. Una caccia spietata che in Valtellina, come del resto in tutte le Alpi italiane, ha portato alla scomparsa di specie di grandi predatori. Già dal Settecento vi fu la scomparsa della lince dalle nostre zone, seguita dal lupo, ai primi dell'Ottocento, e dall'orso, a cavallo fra Ottocento e Novecento. Ma, oltre alle estinzioni, bisogna anche guardare al pericolo della drastica diminuzione di esemplari di singole specie, come l'aquila reale, il gallo cedrone o lo stambecco, animale che pure è stato reintrodotto una ventina di anni fa. Forse un giorno, dopo un secolo di assenza, tornerà a fare i suoi voli sporadici anche il Gipeto, "avvoltoio degli agnelli", il più grande rappresentante dell'avifauna indigena, per ora inserito all'interno del Parco dello Stelvio e, come lo stambecco, tornato nelle nostre valli dal vicino Parco Nazionale svizzero dell'Engadina. Il falco, predatore che faceva solo rarissime apparizioni già ad inizio secolo, è scomparso, vittima di una caccia causata dal suo "vizio" di attaccare il pollame. Passeggiando per boschi, prati, pascoli o ghiacciai, resta comunque la possibilità di un affascinante incontro con qualche ospite della natura, a seconda della fortuna e della pazienza. Nell'ombra del sottobosco si muovono gli amanti della vita notturna, come tassi, martore, faine, talpe, toporagni, ghiri, lepri o volpi; sugli alberi simpatici scoiattoli, gufi, civette, allodole, barbagianni, allocchi e i piccoli uccelli che, più di ogni altra specie, tradiscono la loro presenza nascosta con i loro suoni, tanto indifesi quanto gioiosi: cince, rampichini, scriccioli, sordoni, crocieri, fringuelli, picchi, merli, gracchi, che si muovono tra rami di larici, pini e abeti. Tetraonidi come il fagiano, la pernice, il gallo forcello o cedrone amano vagare per il bosco alla ricerca di cibo. Non sono infrequenti incontri spiacevoli ed indesiderati con rettili come la vipera, il marasso o l'orbettino. Più su, al confine tra il bosco e i pascoli d'alta quota, vivono camosci, cervi, cerbiatti, stambecchi e caprioli. Nel cielo vola l'aquila reale, alla ricerca dall'alto di piccoli animali come l'ermellino, la marmotta, la donnola o i toporagni. Nei fiumi che scendono dai ghiacciai fino al piano o nei laghetti che col tempo si sono formati a colorare il paesaggio alpino si trovano le trote, i ranidi, i tritoni, le salamandre e l'unico passeriforme europeo che si tuffa, nuota e cammina sull'acqua, il merlo acquaiolo. Per chi non riesce proprio ad avvistare molti di questi animali, resta comunque un'ultima possibilità di scoprirli: seguire le loro tracce, grazie ai mille indizi nascosti che lasciano qua e là, come impronte, brandelli di corteccia, gusci, buche nel terreno, piccole gallerie sui tronchi... tutti noi vorremmo una natura di questo tipo... oggi più che mai occorre non solo evitare di uccidere e distruggere inutilmente, ma anche reintrodurre, dove e quando è possibile, gli animali che in tempi storici sono scomparsi dalle nostre montagne.

Il ritiro dei ghiacciai

Credo che ogni frequentatore della montagna valtellinese si sia accorto che i ghiacciai vtitleellinesi (e non solo) negli ultimi 20 anni hanno subito delle modificazioni morfologiche di notevole spessore. Queste modificazioni non sono altro che l'adattamento delle masse glaciali al trend climatico che si è instaurato dalla metà degli anni '80 e continua tutt'oggi con pochi e isolati segni di cambiamento (vedi stagione 2000/2001). Inverni secchi ed estati roventi sono un cocktail micidiale per la sopravvivenza della neve e del ghiaccio ad alta quota. L'attuale ritiro glaciale non è un'esclusiva degli anni novanta, infatti dal termine della piccola età glaciale (metà 800') ad oggi, solo gli anni 20' e il periodo 70'/80' sono risultati favorevoli al glacialismo. Per fare un esempio il più ampio e famoso ghiacciaio valtellinese, il ghiacciaio dei Forni, negli ultimi 10 anni è arretrato di più di 250 metri e la quota della fronte è risalita di quasi 100 metri. Altri ghiacciai stanno subendo delle drastiche modificazioni morfologiche. Ad esempio il ghiacciaio del Pizzo Ferrè nel 1999 ha perso la sua lingua valliva diventando un ghiacciaio di circo e le due lingue del ghiacciaio dello Zebrù dal 2000 non sono più a contatto e determinano quindi due apparati indipendenti. Questa grave involuzione del glacialismo porterà a delle drastiche modificazioni del territorio e del paesaggio valtellinese che avranno sicuramente sviluppi negativi sia dal lato turistico che dal punto di vista idrico ed energetico (i ghiacciai sono la nostra più grande ed importante riserva di acqua). La pratica dello sci estivo risulterà sempre più difficoltosa e la sua stagione sempre più breve, mentre c'è il rischio che gli itinerari alpinistici diventino sempre più pericolosi poiché il ritiro glaciale e l'aumento delle temperature alle titlee quote favorisce lo sviluppo di frane, crolli di seracchi o anche più semplici ma sempre pericolose scariche di sassi. Un'altra problematica da non sottovalutare riguarda l'instabilità delle zone frontali dei ghiacciai in ritiro. Quando un ghiacciaio si ritira lascia davanti alla fronte ampie zone di deposito morenico inconsolidato che in caso di forti piogge può velocemente rovinare a valle trasportato dal torrente glaciale. Una situazione da tenere sotto controllo… sperando sempre in un cambio di tendenza. Basterebbe qualche stagione come la 2000/2001 per cambiare definitivamente questo trend, visto che con gli ingentissimi accumuli rimasti sui ghiacciai l'estate scorsa, alcune piccole vedrette orobiche hanno recuperato 10 anni di deficit in una sola annata. La speranza è che questa stagione disgraziata (2001/2002) non rovini tutto di nuovo.